PROGETTI

L’associazione I Fili, prefiggendosi lo scopo di promuovere il benessere a tutte le età della vita, lo fa utilizzando i mezzi che possiede, cioè le risorse umane di cui dispone.

Cerchiamo di mettere in pratica quello che pensiamo possa essere utile per farci stare bene insieme.

L’Associazione I Fili che ha ottenuto l’iscrizione negli elenchi della Regione Liguria degli organismi che perseguono scopi educativi e formativi rivolti a tutti i cittadini,  propone diversi corsi di formazione  da svolgersi presso la sede operativa di via Castagnola 9/2- Chiavari.

Il coordinamento didattico è di Rosanna Vagge e Maria Grazia Sbarboro.

Partiamo dall’ invecchiamento e dal dilagare delle Persone che perdono la mente.

Un tema  cruciale al centro dell’interesse del mondo intero che necessita di un cambiamento o meglio di uno stravolgimento culturale nei tempi e nei modi di affrontare quello che è ritenuto un grande problema anzichè, come è nostro parere, una opportunità.

Di seguito i titoli dei nostri corsi e gli obiettivi.

Ulteriori dettagli relativi alla programmazione dei corsi saranno specificati  cliccando il titolo dei singoli corsi, nella relativa pagina.

“L’ ABC DELLA CURA DELLA VECCHIAIA” 

Il corso è indirizzato a tutti coloro che vivono con gli anziani, sani o malati, e se ne prendono cura, sia a domicilio che nelle case di riposo: familiari, badanti, amici, assistenti, tutti.  Amarli è molto importante, ma, a volte, non è sufficiente, e qualche conoscenza in più può aiutarci a fare meglio e non cadere nei tranelli della società odierna.

 “ARCO DELLA VITA”

Perché l’arco della vita,  come un arcobaleno, ha infiniti colori con infinite  sfaccettature,  diversi e indistinguibili al tempo stesso . Come un arcobaleno, solo apparentemente, inizia e finisce all’orizzonte.

Riteniamo indispensabile che sia necessaria, oggi, nel difficile e frammentario contesto  normativo e sociale,   una formazione continua  ad ampio raggio  per completare  ed  arricchire  l’istruzione già acquisita degli operatori socio-sanitari ponendo in particolare rilievo gli aspetti psicologici, sociali e culturali, la responsabilizzazione,  il clima aziendale e il lavoro di gruppo, presupposti  fondamentali per offrire alla persona un approccio metodologico nuovo e antico allo stesso tempo, globale e individuale nello specifico, che può essere definito  semplicemente ” con sguardo antropologico”.

Perché l’ Antropologia, come sostiene il Prof. Guerci, più che  una disciplina che si colloca in  una posizione intermedia tra la biologia e le scienze umane, coniugata all’approccio sistemico, è una  attitudine nel pensiero.

Le numerose tematiche devono tutte essere centrate sul rendere consapevole il personale di assistenza del disagio che vive l’anziano, sradicato dal contesto socio culturale abituale quando, spesso altri, decidono  per lui cosa deve fare, come lo deve fare, dove deve e con chi continuare a convivere.

Tom Kitwood nel suo libro “Riconsiderare la demenza”  chiama questo processo “psicologia sociale maligna”, specificando che “ … il termine  maligno non implica cattive intenzioni da parte dei caregiver: molto del lavoro viene svolto con gentilezza e buone intenzioni. Ciò che è maligno fa parte della nostra eredità culturale”.

Secondo l’Autore è impossibile continuare a pensare che tutto il deterioramento personale associato al decadimento cognitivo  sia il risultato di un processo neurologico che ha una sua dinamica autonoma. Kitwood  riporta, in analogia al suo pensiero,  la conclusione raggiunta da Michael Meacher (1972) nel suo studio sulle strutture residenziali in cui asserisce  che la psicologia sociale e le disposizioni generali  sono praticamente sufficienti in se stesse per “far diventare una persona demente”.

Il rischio di tutto ciò è di sviluppare “modelli sociali di disabilità” o, più precisamente, di “inabilitazione” che sottraggono potere e disattendono qualunque tentativo di azione del disabile fino a minare  il riconoscimento  dell’unità essenziale di tutti gli esseri umani, nonostante qualsivoglia differenza ci possa essere nelle loro capacità fisiche e  mentali così come sono determinate in modo convenzionale.

L’immagine culturale della vecchiaia, che ognuno di noi si costruisce in modo più o meno cosciente, condiziona i pensieri e le azioni che quotidianamente pratichiamo nei confronti degli anziani.

In questa ottica diventa  indispensabile  che il personale delle case di riposo acquisisca conoscenze  relative al contesto in cui deve operare, conoscenze che possano arricchire  le  competenze specifiche e  istituzionali di operatore socio sanitario, assistenziale, infermiere, medico, animatore, psicologo, fisioterapista e quant’altro di quel valore aggiunto che, seppur difficile da quantificare in termini misurabili,  è fondamentale per la tanta auspicata “umanizzazione”.

Lo staff di operatori potrà agire all’unisono come “educatore geriatrico” aiutando chi invecchia ad assumersi la responsabilità di “ Inventare la vecchiaia”, come sostiene Sergio Tramma,  sia dal punto di vista individuale che collettivo “all’interno dei margini di pensiero e di azione consentiti ai soggetti individuali e collettivi, in un delimitato contesto sociale e culturale”.

Non si può  parlare “genericamente di anziani”, differenziati esclusivamente in base al punteggio AGED che, oltre a stabilire il minutaggio dei bisogni assistenziali, secondo la scala di valori imposta dalla società, sancisce l’autorizzazione alla permanenza o meno all’interno delle residenze a seconda di rigidi  parametri strutturali e di personale, imposti dalla normativa.

Secondo Tramma ci sono tante vecchiaie quanto gli individui, perché sono troppe le variabili che intervengono a conferire forma alla vecchiaia dell’individuo, troppe le appartenenze che vincolano e concedono possibilità”.

La vecchiaia non si può banalizzare, intendendo con questo termine: “… ridurre la sua complessità a uno dei suoi molteplici aspetti,…    … sistematizzarla nel suo dispiegarsi     … prevederla nelle sue manifestazioni, bisogni e auspici”.

Ancora una volta l’attitudine di pensiero antropologico ci può aiutare a trasformare il “tessuto sociale” delle strutture per anziani in un “sincizio sociale”, in cui l’apparente disordine secondario alla fusione del citoplasma e alla locazione dei nuclei è in realtà espressione di una organizzazione sinergica altamente specializzata.

“ASSISTERE LE PERSONE CON DEMENZA: RIFLESSIONI E CONSIGLI PRATICI”

Il corso è indirizzato a tutti coloro che, a vario titolo,  operano con le Persone affette da demenza o che sono  semplicemente invecchiate, in particolare con  quelle che vivono in residenze assistite.

E’  ben noto che la sfida maggiore, per permettere a queste Persone di “aggiungere vita agli anni e non anni alla vita”,  riguarda l’ambiente nel quale spesso sono costrette a vivere.

Educare il personale, medici, infermieri,  operatori socio-sanitari, fisioterapisti, animatori, familiari,  badanti, ma anche gli amministratori, i legislatori e i decisori al controllo dell’ambiente sociale (o fisico) dove vivono le Persone affette  da deficit cognitivi  è  il primo passo per accoglierle degnamente e permettere loro una vita serena.

E’ fondamentale  approcciare i loro  comportamenti problematici, chiedendosi per prima cosa perché avvengono, evitando il cosiddetto nichilismo terapeutico  che porta all’uso  inappropriato delle contenzioni farmacologiche e fisiche e  scatena un  circolo vizioso catastrofico e inaccettabile.